Monday, 22 September 2008

saudade















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Girl “Hi”

Boy “Hi”

G. “Is it that distant peninsula you’re looking at?”

B. (nods)

G. “Seems like everybody here gets fascinated by the view…it must be amazing over there”

B. “Are you aware of anybody who ever made it there?”

G. “Not really. Everybody just gives up, apparently. It’s a long way to go”

B. “What about you?”

G. “I’m a student, took a year off and…”

B. “Oh…I mean…have you ever tried to get there?”

G. “No”

B. “Why not?”

G. “I guess…I just prefer to stay here, and gaze at it, dream of it, and get a bit lost. You know…reality’s not always as good”

B. “Yeah, I see”

***

G. “Hey! How did you do that?”

B. “I…I’m not too sure…just can’t recall right now. I guess…yeah…I must have built this paper boat while I was asleep”

G. “And you’re setting sail for the peninsula?”

B. “You coming with me?”

G. “Thanks…thank you, but I think this has to be YOUR voyage”

B. “Sure. Well, then…farewell!”

***

B. “’Morning”

G. “Hey. Did you have a good night?”

B. “Kind of…I dreamt I travelled to the peninsula on a paper boat. That was…so real”

G. “And how was there?”

B. “Awful. Perhaps you’re right, it wouldn’t probably ever be the way we imagine it”

G. “Did you give up then?”

B. “Come”

G. “Where?”

B. “On my paper boat. We’re going to get there”



Girl “Ciao”

Boy “Ehi”

G. “E’ quella penisola lontana che guardi?”

B. (annuisce)

G. “Sembra che tutti restino affascinati alla sua vista...deve essere meraviglioso laggiu’”

B. “Sai di nessuno che sia mai riuscito ad arrivarci?”

G. “No. A quanto pare tutti rinunciano alla fine. La strada e’ lunga”

B. “E tu?”

G. “Sono una studentessa, ho deciso di prendere un anno di stop e...”

B. “Intendevo dire...mai provato ad arrivarci?”

G. “No”

B. “Perche’?”

G. “Non saprei...e’ che preferisco restar qui, e contemplarla, sognarla, e perdermi un po’. Sai...la realta’ non sempre e’ altrettanto bella”

B. “Gia’”

***

G. “Ehi! Ma...come hai fatto?”

B. “Non...non sono sicuro, io...non ricordo in questo momento. Ma devo aver costruito questo battello di carta mentre dormivo”

G. “E sei in partenza per la penisola?”

B. “Vieni con me?”

G. “Grazie. Grazie, ma...ecco, credo che questo debba essere il TUO viaggio”

B. “Certo. Beh, allora...addio”

***

B. “’Giorno”

G. “Ciao. Passato una buona nottata?”

B. “Si, piu’ o meno. Ho sognato di aver viaggiato verso la penisola su di un battello di carta. Sembrava...cosi’ reale”

G. “E come era laggiu’?”

B. “Orribile. Forse hai ragione tu...in fondo...forse non sarebbe mai cosi’ come la immaginiamo”

G. “Vuol dire che ci hai rinunciato?”

B. “Vieni”

G. “Dove?”

B. “Sul mio battelo di carta. Andiamo lì’”

Monday, 1 September 2008

demise:dismay






















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This photo is dedicated to the fucker who stole my camera: we will meet again one day.


Does an ethical code exist in photography? Is there a threshold in photo manipulation beyond which it can be said we’ve gone too far? After all, the first attempts of photo manipulation date back to the early days of photography. Well before the digital revolution. Probably, some techniques may appear more “ethical” than others. Take this photo for instance, it is likely that nobody would ever blame me for having desaturated the original (unless he saw the colours version and reckoned it was more appealing) and thus altered, in a way, the reality. But here’s where the argument becomes circular.

What’s the intent of a photograph? Is it about what we see or what we feel? I believe both levels are important. The explicit message of the photo is what is immediately perceived, the expression on a face in a well executed portrait, an exotic landscape. But then there’s an implicit message, which is the sentiment the photographer tries to convey, the highly subjective response triggered in that very moment in the photographer’s emotional circuit. Communicating such feelings is for sure the hardest task not only when we take a photo, but also when we reinterpret that particular moment in front of a computer, trying to re-exhume our innermost feelings, and translate them into the final ‘output’.

So, what about this b&w? Perhaps the colours were not as relevant for the soul as they might have been for the eye. Maybe some photos are capable to bypass the first sensorial response, and penetrate the soul straight, screaming and shaking it from the inside.

Manipulated pixels yet pristine sentiment. Here lies the ethics maybe. To let the manipulation be a personal process, with the aim of reaching the deep core of a feeling, slowly and silently, rather than a trick conceived to seduce the eye and gain immediate attention. Eyes are deceptive, truth lies in our eyelids.


Thanks to my dearest friend Pamela, whose comments on this photo contributed to gain inspiration for this text.



Questa foto e’ dedicata al fottuto bastardo che mi ha rubato la fotocamera: ci incontreremo nuovamente un giorno.


Esiste un codice etico in fotografia? Esiste una soglia, nella manipolazione delle fotografie, al di la’ della quale possiamo asserire di esserci spinti oltre? Dopo tutto, le prime tecniche di manipolazione fotografica risalgono alle origini della fotografia stessa. Ben prima dell’avvento della rivoluzione digitale. Probabilmente alcune tecniche possono apparire piu’ “etiche” di altre. Prendete ad esempio questo scatto, e’ probabile che nessuno si lamenti per il fatto che io abbia desaturato l’originale (a meno che non abbia visto l’originale a colori e lo abbia trovato piu’ interessante) e in qualche modo alterato la realta’. Ma e’ qui che l’argomento rischia di diventare circolare.

Qual e’ il vero intento di una foto? Riguarda cio’ che vediamo o cio’ che sentiamo? Io credo che entrambi i livelli siano importanti. Il messaggio esplicito rinchiuso in una foto e’ rivelato da cio’ che viene immediatamente percepito, l’espressione dipinta sul viso in un ritratto ben riuscito, il fascino di un paesaggio esotico. Ma poi vi e’ un messaggio implicito, che riguarda il sentimento che il fotografo cerca di trasmettere, la risposta altamente soggettiva innescata in quel preciso istante nel circuito emotivo del fotografo. Comunicare un tale sentimento e’ uno dei compiti piu’ difficili, non solo nel momento in cui si scatta, ma anche quando reinterpretiamo quel particolare momento di fronte ad un computer, cercando di riesumare la nostra interiorita’, e tradurla nel prodotto finale.

Cosa dire, dunque, di questo bianco e nero? Forse i colori non erano rilevanti per l’animo alla stesso modo in cui potrebbero esserlo stati per l’occhio. Forse alcune foto possiedono la capacita’ di aggirare la prima risposta sensoriale, insinuandosi immediatamente in fondo all’anima, urlando, e scuotendola da dentro.

Pixel manipolati, inalterati sentimenti. E’ forse tutta qui l’etica. Lasciare che la manipolazione di una foto sia un processo personale, con lo scopo di raggiungere il nucleo di un sentimento, lentamente e silenziosamente, piuttosto che esser concepita per sedurre l’occhio, e attrarre attenzione a tutti i costi. Gli occhi sono ingannevoli, la verita’ risiede nelle palpebre.


Ringrazio la mia cara amica Pamela, i cui commenti a riguardo di questa foto hanno contribuito a trovare l'ispirazione per questo testo.

 
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